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Channel: Sancara - Blog sull'Africa
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Il rito mascherato Ijele

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Il rito mascherato Ijeleè praticato nel sud-est della Nigeria (in particolare nello stato di Anambra) dalla comunità Igbo. Alcuni sostengono che si tratta di un'evocazione di uno "spirito" che rappresenta l'intero continente africano.

Alla base del rito vi è la grande maschera, costituita da una massiccia costruzione (generalmente in bambù) che supera i 4 metridi altezza finemente decorata a rappresentare una maschera.Generalmente sono impiegati 100 persone che lavorano pe 6 mesi per costruire la maschera-struttura. Secondo alcuni si tratta del più grande, in termini di dimensioni, rito mascherato del mondo.

Di origine antica (unica certezza che nasce negli attuali territori molti secoli fa) e sotto molti aspetti ancora da studiare, oggi il rito accompagna alcuni particolari eventi come i funerali, matrimoni, riti di fertlità e le celebrazioni. AD esso sono associate danze (che coinvolgono anche giovanissimi), musiche e pratiche sociali tramandate da generazioni.



Nel 2009 il rito mascherato Ijele è stato inserito tra i patrimoni intangibili dell'umanità da parte dell'UNESCO. Esso infatti gioca un ruolo di primo piano nella comunità Igbo, sia negli aspetti spirituali che in quelli più marcatamente festosi. Contemporaneamente riafferma il ruolo centrale degli aspetti culturali e tradizionali che in esso sono contenuti.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa

Popoli d'Africa: Kongo

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I Kongo o Bakongo sono un gruppo etnico bantu dell'Angola (area nord-ovest), del Congo e della Repubblica Democratica del Congo. Vivono lungo la costa atlantica dove sembra siano giunti a partire dal XIII secolo, dalle foci del fiume Congo, durante una delle grandi migrazioni bantu. Parlano la lingua KiKongo e sono stimati essere oggi circa 10,2 milioni di individui. La parola Kongo significa cacciatore. Essi sono anche agricoltori e ottimi lavoratori del ferro, del legno e della ceramica.

Nel XIV secolo costituirono alcuni regni (Congo e Loango, i più importanti) che si dissolsero solo nel XVIII secolo, tre secoli dopo l'arrivo dei portoghesi (i quali introdussero il cristianesimo), soprattutto per dissidi interni.
In particolare il regno Kongo (1395-1914), il cui sovrano Nzinga Mbemba si convertì al cristianesimo (sebbene pratiche legate ai riti tradizionali siano sempre state conservate) grazie all'opera di evangelizzazione dei portoghesi (che lo ribattezzarono re Alonso I), offrì anche un grande tributo in schiavi verso la rotta nel Nuovo Mondo. Secondo alcune stime, dall'area del regno Kongo partirono più di 10 milioni di schiavi alla volta delle piantagioni d'oltre oceano.
Il Regno Congo, la cui capitale fu Mbanza Kongo (ribattezzata dai portoghesi San Salvador) era diviso in 6 provincie e la sua influenza si estendeva ben oltre i suoi confini (oltre 130 mila chilometri quadrati). Era un regno molto evoluto grazie anche alla ricchezza di materie prime e alla capacità di lavorarle. L'avvento della tratta degli schiavi contribuì a sgretolare il substrato sociale su cui reggeva il reame.
Nel 1885 con la Conferenza di Berlino, il territorio dell'antico regno fu diviso tra le grandi potenze coloniali.

Il popolo Kongo (che a Luanda sono diventati abili e ricchi commercianti) diede un grande contributo alla lotta per l'indipendenza dell'Angola e del Congo (con l'organizzazione Abako) e ancora oggi rappresentano l'asse portate dei movimenti di liberazione dell'enclave di Cabinda.

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

La semplificazione dell'odio

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Le notizie, in genere poche e imprecise, che arrivano dal continente africano mettono a fuoco gli ennesimi drammi umani che da quelle parti assumono i connotati di vere e proprie catastrofi. Omicidi, mutilazioni, stupri di massa, violenze di ogni genere, fughe, esodi massicci, caos generalizzato e impotenza diffusa.

Nella Repubblica Centroafricana si vedono scene che ricordano il genocidio del 1994 in Ruanda, quando quasi un milione di persone vennero uccise, per lo più a colpi di machete, in poco più di tre mesi. Sono immagini che speravamo di non vedere mai più, sicuri che l'umanità avesse imparato la lezione. Non è stato così. In Nigeria da decenni le violenze scoppiano quasi quotidianamente e solo di rado, quando il numero dei morti diventa significativo perfino per l'Africa, varcano i confini del paese. 

Da noi le notizie giungano con schemi fissi. Guerra tra etnie diverse e lotta tra religioni. Entrambe le differenze generano massacri. Generalmente i titoli dei giornali richiamano l'attenzione sui cristiani uccisi dai mussulmani (ma avviene anche il contrario) come se in atto vi fosse il tentativo, studiato e consapevole, di una o dell'altra comunità, di prevalere sull'altra. Le testimonianze che ci giungono (vedi, ad esempio, questa intervista all'Arcivescovo di Bangui) però raccontano un'altra realtà.

Una realtà più complessa, fatta di situazioni di grande povertà (sempre a dispetto di ingenti ricchezza del sottosuolo), di assenza atavica dello Stato, di ingerenze internazionali di vario genere, di grande confusione e di assenza di progetti chiari per il futuro.
Una realtà che racconta anche di gruppi estremisti che radono al suolo i posti dove passano, spesso ignorando etnie e religioni.

Così come all'immagine di paesi in guerra, tutti contro tutti, si contrappone la drammatica situazione dei profughi (500 mila nella sola Bangui, ovvero la metà della popolazione) a testimoniare, come sempre, che è la stragrande maggioranza della popolazione (di qualsiasi etnia e religione) a pagare il carissimo prezzo della guerra.

Ancora una volta si ha la sensazione che, come avvenne in Ruanda, un piccolo gruppo di individui (in alcuni casi composto da persone che nulla hanno a che fare con il paese) è stato in grado di far diventare assassini persone comuni. I racconti dei vicini di casa a Bangui che si uccidono tra di loro, dopo aver convissuto pacificamente per decenni, sono gli stessi racconti di quanto avvenne a Kigali nel 1994. Fomentare insicurezza, odio, vendetta e paura del diverso è una caratteristica comune in tutte follie umane. Un nemico da odiare e a cui addebitare tutte le sofferenze e i mali. Così come è comune il racconto dell'assenza - nei luoghi chiave - di personale addetto alla sicurezza (polizia, esercito e truppe internazionali), anche quando gli eventi sono ampiamente prevedibili. Nella Repubblica Centrafricana le truppe internazionali sono presenti in modo massiccio (francesi, sudafricani, ugandesi, nazioni unite, comunità africana). In Ruanda il mondo restò a guardare e sembra che anche oggi le intenzioni siano le stesse.
Mentre, in Nigeria come in Repubblica Centroafricana, petrolio, diamanti e minerali continuano, come se nulla fosse successo, ad essere estratti e venduti dalle grandi multinazionali.

Sembra perfino una banalità affermare che senza una radicale trasformazione di questi paesi, di una seria lotta alla povertà e alle disuguaglianze sociali e di una politica capace di far ricadere sulle popolazioni parte delle grandi ricchezze, nulla è destinato a cambiare.

Certo è più comodo, e oserei dire più funzionale, raccontare che il motivo dell'odio sia un Dio o l'altro, perchè non solo ci esula dalle nostre responsabilità, ma attraverso la paura della "guerra di religione" compatta un grande fronte, anche nei nostri paesi.

Ecco un post di Sancara del 2011 sugli scontri in Nigeria
Ecco un recente post sulla situazione in Centrafrica






Guerre nel mondo: l'Africa oltre tutti

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Stando all'aggiornatissimo e utile sito Guerre nel Mondo sono 60 i paesi del mondo ove vi sono dei conflitti in corso. Certo non tutte sono guerre vere e proprie. In alcuni casi si tratta di rivendicazioni territoriali, a volte di piccoli gruppi indipendentisti.

Foto dalla rete (RD Congo)
Inutile dire che, cinicamente, queste guerre sono una vera e propria manna per i produttori di armi, il cui fatturato è cresciuto del 60% dal 2002! E parliamo solo del mercato legale delle armi, ma tutti sappiamo che durante i conflitti, soprattutto quelli "meno classici" le armi vengono acquistate esclusivamente in modo illegale.

Vale la pena sottolineare che tra i paesi in conflitto vi sono 24 paesi africani (ovvero quasi la metà dei paesi africani indipendenti). Per molti la cosa appare del tutto naturale. L'Africa è un insieme di povertà, di arretratezza, di inciviltà e di corruzione, in cui la vita umana non vale nulla.

A pochi viene in mente che le guerre in Africa sono sempre state sostenute dalla materie prime di cui il suo sottosuolo è ricco. Quante armi si comprano con un sacchettino di diamanti che si trasporta comodamente nelle tasche? E quante con l'uranio, con il coltan, con pietre preziose, con l'avorio, con il legno pregiato o con le concessioni per l'estrazione del petrolio?
Parliamo di affari miliardari, di flussi di denaro che se indirizzati in modo diverso potrebbero alleviare le sofferenze di intere popolazioni oramai allo stremo e risolvere, forse definitivamente,il problema della fame in quelle aree del pianeta.
Foto dalla rete
Potrebbero porre fine anche alle fughe. A quella massa di disperati che fuggono dalle proprie case minacciate dalla guerra e che si ammassano nei campi profughi e che infine pressano alle frontiere del nostro mondo alla ricerca di qualcosa che, purtroppo, non troveranno.

Certo stiamo parlando di un mondo diverso. Diverso da quello che conosciamo e in cui molti di noi sono cresciuti, spesso ignari di quello che accadeva appena oltre il nostro confine ideale.

Nella Repubblica Centrafricana (vedi quest'ultimo post di Sancara), in Nigeria, in Sud Sudan (un post), in Somalia, in Mali, in Libia, in Egitto, nella Repubblica Democratica del Congo (qualcosa sul Kivu), in Darfur (un pensiero) e in Uganda, tanto per citare alcuni dei conflitti in corso, si combatte ogni giorno, ogni ora, ogni minuto. Di tanto in tanto le informazioni giungono, incerte e imprecise, anche da noi. Generazioni intere in guerra, migrazioni di biblica memoria, bambini a cui viene strappato il gioco, sofferenze ingiustificate che, per nostra fortuna, solo i nostri nonni hanno sperimentato.
Le organizzazioni umanitarie e i volontari si affannano per portare soccorso alle popolazioni, a volte nel modo più genuino possibile, altre volte con interessi e intrallazzi che appartengono agli uomini. Nello stesso tempo uomini d'affari senza scrupoli si aggirano nei palazzi e nei luoghi meno formali, siglando accordi per acquisti e vendite illegali.

Nonostante le guerre  non vi è stato giorno (salvo eccezioni isolate) che il gas della Libia non abbia alimentato l'Europa, che il petrolio della Nigeria non abbia raggiunto le raffinerie del Nord, che il coltan del Kivu non abbia soddisfatto le richieste della industrie elettroniche, che i diamanti della Sierra Leone non abbia raggiunto le strade di Anversa o che l'uranio della Repubblica Centrafricana non abbia fatto funzionare le centrali francesi.

Nonostante la guerra l'Africa vive. La gente sorride e ancora crede in futuro che molti non avranno mai.

Gentlemen of Bacongo

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da Gentlemen of Bacongo, di Daniele Tamagni
Nonostante le guerre, nonostante le gravi difficoltà che il continente africano ha attraversato e attraversa, i suoi popoli trovano sempre una ragione e un motivo per sorridere e, perchè no, per stupire. Non sorprende quindi che nelle capitali di due paesi, uno dei quali da decenni in guerra, ci si possa imbattere in scene come quelle documentate, nel 2010, dal fotografo italiano freelance Daniele Tamagni. Tamagni ha immortalato magnificamente i dandy congolesi (riuniti nell'associazione SAPE - Societè des Ambianceurs et des Personnes Elegantes e per questo chiamati Sapeurs) che mettono insieme l'eleganza coloniale della fine '800 con la stravaganza, la giocosità e la trasgressione tipicamente africana.
Kinshasa e Brezzaville, rispettivamente capitale della Repubblica Democratica del Congo e della Repubblica del Congo, tra loro separate dal fiume Congo, hanno sempre ospitato, fin dalla loro fondazione che risale alla fine del 1800, avanguardie culturali e politiche. A partire dagli '30 si svilupparono esperienze musicali straordinarie e la rumba congolese e poi il soukous arricchivano le notti congolesi. Contemporaneamente si sviluppò un parte importante del pensiero politico anticoloniale che portò all'indipendenza del paese nel 1960. Musicisti e politici congolesi esportarono poi il loro genio e le loro idee in Europa e soprattutto a Parigi (in particolare, oggi, nel quartiere di Chateau Rouge).

I Sapeurs non sono, come si potrebbe credere, un gruppo di snob della borghesia africana. Sono cittadini che fanno i lavori più umili per potersi pagare gli abiti delle grandi firme europee, attratti da uno stile di vita che sfiora la religione. Molti di loro sono pagati per partecipare a feste,  a ricevimenti e ad intrattenimenti di vario genere. Il loro stile impeccabile, dove nulla è lasciato al caso, intriso di regole rigide, affascina  e appassiona il popolo congolese. Uno stile in grande contrasto con la realtà metropolitana congolese e che Tamagni ha saputo valorizzare e rendere ancora più evidente.

L'attuale club dei sapeurs, trae le sue origini da Andrè Grenard Matsoua, attivista politico congolese, morto in carcere nel 1942, che nel 1922 fu il "primo grande sapeurs", quando rientrò dalla Francia elegantemente vestito. A lui si deve un movimento di emancipazione, l'Amicale balali, che includeva elementi religiosi legati al cristianesimo di culto millenaristico.

Gli scatti di Daniele Tamagni hanno prodotto un libro e un mostra.  

Da Sankara a Museveni. Sulla felicità.

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Era il  1984 quando Thomas Sankara pronunciava queste parole: "La nostra rivoluzione avrà avuto successo solo se, guardando indietro, attorno e davanti a noi, potremo dire che la gente è un po' più felice...... perché può godere di più libertà, più democrazia, più dignità." Oggi, nel 2014,  in Uganda entra in vigore una legge, sottoscritta del Presidente Yoweri Museveni, che condanna all'ergastolo chi commette il reato di omosessualità.


Trent'anni sono passati. Allora un giovane Thomas Sankara faceva sognare il suo popolo. Iniettava parole di fiducia per un futuro che poteva solo essere migliore. Lo faceva in primo luogo con l'esempio, quotidiano. Certo era un sogno, credo ne fosse perfettamente consapevole, ma era uno di quei sogni che valeva la pena di essere sognato. Un sogno, che Sankara pagò con la sua vita.

A distanza di 30 anni l'Africa, e più in generale il mondo intero, vive momenti terribili. Guerre, corruzione, sofferenze e ingiustizie attraversano il continente, in lungo e in largo.

Oggi Museveni, salito al potere nel 1986 (un anno dopo l'assassinio di Thomas Sankara) e distintosi per il suo spregio per i diritti, etichetta come "disgustosi, innaturali e senza diritti" gli omosessuali, aprendo, di fatto, la "caccia ai gay" in Uganda (un quotidiano ha pubblicato una lista di nomi e foto di personaggi pubblici ugandesi, sotto il titolo "Scoperti!").

Quella felicità individuale che per Sankara era il faro che illuminava la sua rivoluzione, diviene oggi per Museveni una ricchezza da disprezzare e da sopprimere (la legge entrata in vigore mette sullo stesso piano i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti e l'abuso di minori!) con ogni mezzo.

Ecco l'articolo di oggi su Repubblica
Ecco un approfondimento dal Blog di Fulvio Beltrami (che in Uganda vive) Frammenti Africani





Kayamba, il suono dei Luo

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La Kayambaè uno strumento idiofono (i cui suoni sono prodotti dai materiali di cui è costruito) tradizionali dell'etnia Luo del'Africa Centro-Orientale, tuttavia diffuso anche in altre aree, come il Congo. Si tratta di uno strumento, che può avere forme diverse (rettangolare o esagonale), il cui principio  costruttivo si basa su due tavole sottili (in genere di legno, ma possono essere anche di gomma) unite tra di loro da un particolare intreccio di fili e sisal, nella cui cavità interna vengono posti ciotoli, semi e fagioli. Agitato e ruotato (talora con l'ausilio di una o due maniglie) produce un suono asciutto caratteristico e ritmico che accompagna cerimonie, tradizioni e alcuni tipi di danza. Il principio ricorda molto da vicino quello delle più conosciute maracas, mentre il suono assomiglia molto a quello del bastone della pioggia, ovvero allo scorrimento dell'acqua.

Vai alla pagina di Sancara sugli Strumenti musicali africani

Wadi Allaqi

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Wadi Allaqiè una Riserva della Biosfera sita nella zona desertica del sud-est dell'Egitto, sulla sponda est del lago Nasser e fino al confine con il Sudan. Wadi, letteralmente significa fiume secco, ed infatti gli oltre 23 mila chilometri quadrati della riserva si sviluppano seguendo l'alvo secco del fiume per oltre 270 chilometri. Il territorio si trova in una zona che varia la sua altitudine tra i 165 metri e i 1500 metri. La temperatura può raggiungere i 45 gradi e gelare di notte.

Oggi nella riserva vivono poco più di 500 persone. Il numero diminuisce progressivamente a causa della scarsità d'acqua (non piove in alcune aree dal 1996) che rende la vita proibitiva. Solo alcune zone vengono riempite di acqua durante le piene alluvionali del Nilo. Gli abitati sono di due tribù stanziali (Abadba e Bishari), mentre talora si vedono nomadi di etnia Begia (in carovana nel passaggio dal Sudan all'Egitto).

All'interno della riserva si svolgono attività di agricoltura di sussistenza e vengono raccolte piante medicinali.

Nella riserva (che fu dichiarata area protetta nel 1989, la prima dell'Egitto) e inserita nel programma delle Riserve della Biosfera nel 1993, vivono 139 specie di piante, 20 specie di mammiferi (tra cui la gazella dorcade e il coccodrillo nei pressi del Lago Nasser) e 69 specie di uccelli.

In accordo con i principi delle Riserve della Biosfera, Wadi Allaqi è divisa in un'area di riserva integrale (core) di circa 63 mila ettari (in realtà si tratta di due aree distinte), un'area buffer di 131 mila ettari e l'area di transizione di oltre 2 milioni di ettari.

L'area era conosciuta dagli egizi e nubiani per le miniere di oro (recentemente, nel 1989, poco più a Sud, in territorio sudanese, è stato scoperto l'insediamento urbano di Berenice Pancrisia, chiamata la città dell'oro).
La multinazionale australiana Gippsland ha avuto dal governo egiziano la concessione per le ricerche minerarie (principalmente oro, ma, anche rame e Nichel si cercano) in 9 zone intorno a Wadi Allaqi, per un totale di 144 chilometri quadrati.

Ecco un report dettagliato sulla Riserva di Wadi Allaqi

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserve della Biosfera in Africa



2 marzo 1956, il Marocco è indipendente

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L'indipendenza del Maroccoè stata segnata, caso abbastanza raro in Africa e non solo, da una relativa tranquilla transizione. I francesi, impegnati in quell'epoca in due sanguinose guerre d'indipendenza, in Algeria ed in Indocina, decisero, anche su pressione degli Stati Uniti e della Gran Bretagna, di negoziare l'indipendenza del Marocco al primo tentativo di far nascere un esercito di liberazione. Si può affermare, per deduzione, che l'indipendenza del Marocco fu dovuta alla lotta d'indipendenza del Fronte Nazionale di Liberazione in Algeria  e agli uomini di Ho Chi Minh in Indocina. Queste forze, che impegnarono fortemente sul campo i francesi (sconfiggendoli alla fine) facilitarono la sorte degli indipendentisti marocchini.

Abitato fin dal Neolitico  da popoli berberi, il Marocco (che prende il nome dalla città di Marrakech, che ne fu capitale nel medioevo), a causa della sua strategica posizione è stato un susseguirsi di colonizzazioni. Fenici, cartaginesi, romani, vandali, visigoti e infine arabi. Questi ultimi, a partire dal 788 introdussero l'islam e regnarono attraverso varie dinastie (quella attuale è la dinastia Alawita). Dal XVII secolo iniziarono le penetrazioni coloniali europee (inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli si contesero il territorio) che portarono, alla fine, ad un protettorato diretto francese e ad un protettorato spagnolo. Pur non mancando rivolte e ribellioni interne (soprattutto nelle campagne), che i francesi sedarono con la forza, nel 1927 alla salita al trono del sultano Mohamed V (1927-1961), la Francia impose il dominio diretto sul Marocco.

Durante la II Guerra Mondiale il Marocco fu teatro di aspri scontri con l'esercito tedesco e dello sbarco alleato nel 1942.

Già prima della guerra (fine anni '30) si era costituito il partito Istiqlal (che in arabo significa "partito dell'indipendenza"), che sebbene fu ufficialmente fondato nel 1943, aveva nel suo programma l'indipendenza del Marocco. Il Sultano appoggiò il partito Istiqlal (che è sempre rimasto vicino alla casa reale) al punto tale che dal 1953 al 1955 fu esiliato in Madagascar.

Con la proclamazione dell'indipendenza, avvenuta appunto il 2 marzo 1956, Mohamed V nel 1957 fu proclamato Re. Alcune città rimasero in mano agli spagnoli, mentre Tangeri fu incorporata solo successivamente nel territorio del Maraocco. Alla sua morte, avvenuta nel 1961, gli successe il figlio Hassan II (1961-1999) ed oggi, a guidare il paese vi è il figlio di Hassan II, Mohamed VI, mentre il partito Istiqlal (conservatore e di destra) è ancora presente nella coalizione di governo.

Il Marocco indipendente è sempre stato in bilico tra una monarchia parlamentare (vi sono state regolari elezioni, vinte anche dalle opposizioni), la forte presenza del re (che ha sempre usato i suoi privilegi politici), tensioni interne sfociate più volte in vere e proprie rivolte e una posizione sul piano internazionale a volte isolata (il Marocco fu il secondo paese arabo dopo l'Egitto a riconoscere Israele, fu però espulso dall'Unione Africana per le sue posizioni sul Sahara Occidentale) e altre volte al centro della geopolitica del Mediterraneo.

Vai alla Pagina di Sancara Date storiche per l'Africa

Kolmanskop, la ghost town della Namibia

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foto dalla rete
Era il 1908 quando in un'area non distante dalla cittadina di Luderitz (città che i portoghesi alla sua fondazione chiamarono Angra Pequena) in Namibia, fu trovato un diamante. L'area in questione, lungo la ferrovia in costruzione, era all'interno dell'inospitale deserto della Namibia, non distante dall'Oceano Atlantico. In poco tempo scattò la corsa ai diamanti (una delle tante che hanno accompagnato il sud dell'Africa tra il finire del 1800 e l'inizio del 1900). La città si popolò di ricercatori e delle loro famiglie. In breve tempo si sviluppò una città di stile bavarese (il territorio dell'odierna Namibia era allora saldamente delle mani dei tedeschi), con tanto di ospedale, scuole, teatro, casinò, un bowling e una sala da ballo. Vi si costruì perfino il primo tram sul suolo dell'Africa. Nonostante l'inospitale sito, la città cresceva.


foto dalla rete
Nel dopo guerra, e a partire dall'inizio degli anni '50, la vena diamantifera si esaurì e lentamente, ma inesorabilmente, la città si spopolò. Nel 1956 l'ultima famiglia lasciò Kolmanskop, dando via libera al deserto.
Si chiudeva così, dopo quasi 50 anni, la storia viva di questo luogo del pianeta

L'azione della sabbia (le tempeste di sabbia sono molto frequenti) è stata solo parzialmente ostacolata dalle costruzioni. Le dune sono penetrate nelle case, dove ancora permangono gli infissi. L'erosione della sabbia, i cui granelli vengono spinti dal forte vento sui muri, ha rimodellato l'architettura delle strutture.

foto dalla rete
Oggi la città fantasma di Kolmanskop è un'attrazione turistica (resa ancora più celebre dal film Il Re è vivo, diretto da Kristian Levring nel 2000 e interamente girato in questa città). E' un luogo che affascina e stimola la curiosità di molti. E' una sfida tra la natura e l'uomo, il quale è senza ombra di dubbio destinato a soccombere.

Le visite sono regolamentate e gestite dalla Namibia-De Beers essendo ancora un'area riservata e privata.

Vanilla Magazine colloca al 22° posto Kolmanskop, tra i 42 luoghi abbandonati più belli del mondo (vi è un'altro sito africano, molto più recente, la nuova città di Kilamba in Angola). E' una carrellata che vi invito a guardare.

Ecco il link alla pagina dedicata a Kolmanskop dal sito Paesi Fantasma, un ricco database dei luoghi abbandonati italiani e nel mondo.

Ecco invece un sito tedesco con una bella collezione di foto (naturalmente la rete è ricchissima di foto di questa ghost city)

Tra le foto vi segnalo quelle di Tim Walker per Vougue

Popoli d'Africa: Mucubal

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I Mucubal (chiamati anche Mucubai, Mucabale o Mugubale) sono un piccolo gruppo etnico dell'Angola, per gli etnologi più precisamente sono un sottogruppo degli Herero.
Si ritiene che la loro origine sia nel Kenya (per questo vengono ritenuti congiunti con i Masai) da dove sono giunti circa 300 anni fa.
Vivono in un'area nel sud-ovest dell'Angola, tra la Sierra de Chele e il fiume Cunene, ai margini del deserto della Namibia. Un'area, difficile sotto l'aspetto climatico, dove si fermarono durante la prima migrazione degli Herero.

Sono pastori semi-nomadi, che allevano una particolare specie di mucca (che prende da loro il nome) e coltivano prodotti per la loro sussistenza. Hanno pochi contatti con il resto del mondo, di cui essenzialmente si disinteressano. Sono un popolo in cui permangono fermamente molte tradizioni e riti, tra cui il divieto assoluto di parlare in pubblico tra le coppie, prima della nascita di un figlio. Sono le donne, anche nell'iconografia, a marcare i tratti caratteristici di questo gruppo. Esse infatti indossano un grande copricapo (elemento comune alle donne Herero), chiamato Ompota, che è generalmente costituito da una struttura di vimini riccamente arricchito di oggetti e ornamenti. Le donne inoltre usano fermarsi il seno con una fascia molto stretta (in genere di più giri di corda), chiamata oyonduthi, che viene indossata
letteralmente come reggiseno. Le donne sono anche delle grandi consumatrici di tabacco, fumato arrotolato (a modi sigaro) o con delle pipe in legno chiamate boceta.
Infine, sempre alle donne, vengono limati (per solo motivo estetico) gli incisivi superiori. 
La ritualità dei Mucubal è complessa e fa largo uso di amuleti e talismani, che proteggono gli individui da tutto. Di contro, questo popolo ha un rapporto molto disteso con la morte, che non temono, ritenendola un episodio della vita. I funerali si trasformano di fatto in vere e proprie feste (musica e danza si susseguono a ciclo continuo), che durano giorni e giorni e che comprendono il sacrificio di diversi capi di bestiame (a seconda dell'importanza del defunto).

I Mucubal, che avevano avuto nel passato scontri con i portoghesi, si opposero fisicamente al tentativo di invasione dei Sudafricani nel 1975 (all'atto di indipendenza dell'Angola), appoggiando di fatto le scelte del partito di governo MPLA.
Proprio per il rapporto avuto con i portoghesi (che tentarono di evangelizzarli senza successo), i Mucubal non si nutrono di pesce. Essi ricordano infatti quando i portoghesi li imbarcavano sulle navi e non facevano più ritorno. La loro tradizione sostiene che erano i pesci a divorarli.

Sono anche conosciuti come abili e resistenti corridori e camminatori, capaci di percorrere anche cento chilometri al giorno. Vivono in capanne coniche,  costruite in fango e legno, disposte a cerchio.

Ecco un post su questo popolo, con moltissime (e bellissime) foto dal blog Trip Down Memory Lane

Altre bellissime foto possono essere trovate qui

Vai alla pagina di Sancara sui Popoli dell'Africa

Il cimitero delle navi

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Le vecchie navi, quelle che comunemente sono chiamate le "carrette del mare", improvvisamente scompaiono, e per molti sembra esser finito il ciclo vitale di quei manufatti. Inizia invece una seconda vita, forse perfino più rischiosa e avventurosa. Queste navi (tolte quelle che vengono smantellate nei circuiti ufficiali, costosi) finisco in alcuni luoghi del pianeta, dove vengono letteralmente smantellate, pezzo per pezzo. L'operazione è fatta con standard di sicurezza molto bassi, da disperati che, spesso senza strumenti idonei, rischiano la propria vita per racimolare il denaro sufficiente per sopravvivere.

Sei paesi al mondo, smaltiscono oltre il 90% della flotta dismessa mondiale. India, Bangladesh, Pakistan, Cina, Turchia e Mauritania detengono questo poco invidiabile primato. Le navi, spesso con i loro residui tossici, rappresentano materiali altamente pericolosi, che è meglio far veder poco.

In Mauritania, il grande cimitero delle navi, si trova nella baia di Nouadhibou. Uno dei luoghi più pescosi dell'Africa (da lì si esportano ottime aragoste), che rischia di trasformarsi in una bomba ecologica.

La città di Nouadhibou, la seconda della Mauritania, posta quasi al confine con il Sahara Occidentale, è un importante porto, dove arriva la ferrovia sahariana  (quella ferrovia dove viaggia il convoglio più lungo del mondo con i suoi 2,5 chilometri) che trasporta il ferro estratto dalle miniere dell'interno (Zouerat).
Per questa ragione, contrariamente ad altri luoghi del pianeta, dove le navi vengono smantellate per ricavarne ferro, in Mauritania il ferro (proveniente abbondante dalle miniere) non interessa molto e le navi vengono lasciate in balia del mare.

Per anni funzionari corrotti e politici arrivisti e cleptomani, hanno permesso (in cambio di mazzette e altro) di far arrivare nella baia, per il loro ultimo viaggio, centinaia di carrette del mare. Vascelli che qualcuno "dimenticava" poi nella baia. Oggi lo scenario della baia di Nouadhibar in Mauritania è inquietante (tra i primi a documentarlo fu il fotografo Jan Smith nel 2008).
In realtà i primi a lasciare le navi nella baia furono proprio i mauritani nel 1980, da lì il passo è stato breve.
Oggi si stimano che siano oltre 300 i relitti (secondo altri 500, di ogni nazionalità) abbandonati nella Baia (tra le miglia di barche di pescatori). Esse costituiscono non solo un problema ambientale, ma anche un problema alla navigazione portuale. Nel 2010 la comunità europea lanciò un progetto per la bonifica e la rimozione di 57 relitti (stanziando 26 milioni di euro).

L'Africa è diventata da tempo un luogo ideale dove scaricare i nostri rifiuti. In Mauritania le navi, in Ghana i materiali elettronici, in Somalia le scorie e i rifiuti. Spesso, perfino parlarne, è pericoloso.




La città fortificata di Ait Ben Haddou

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foto dal sito dell'UNESCO
Ait Ben Haddouè una città fortificata (ksar) lungo la rotta carovaniera tra il deserto del Sahara e la città di Marrakech in Marocco. Nel 1987 a causa della sua unicità, e per lo stato di conservazione, il ksar di Ait Ben Haddou è stato iscritto tra i Patrimoni del'Umanità dall'UNESCO. La città è situata su di una collina lungo il fiume Ounila. Il centro storico è oramai quasi disabitato (gli abitanti si sono trasferiti nella parte moderna della città). L'abbandono del centro storico ha creato ulteriori problemi alla manutenzione di un luogo unico, che necessita di essere tutelato.
La città offre uno straordinario esempio di architettura pre-sahariana. Costruzioni in terra (l'impasto, chiamato pisè, è costituito da terra cruda e paglia e viene utilizzato assieme a mattoni di fango) le cui prime risalgono al XVII secolo. Si tratta di un fitto intreccio di case, rigidamente saldate con le mura di cinta, protette da torri affusolate e con degli spazi comuni quali piazza, caravanserraglio, moschea e cimiteri.

foto dalla rete
Già nel 1953 le autorità marocchine inserirono la città di Ait Ben Haddou tra i luoghi protetti e tutelati del paese.

La città è stata un luogo dove sono stati girati numerosi film, da quelli ispirati alla vita di Lawrence d'Arabia a quelli dell'agente segreto James Bond, fino al più impegnato Il tè nel deserto o al colosssal Il Gladiatore.

Ecco un sito con molte informazioni e foto su questo ksar.

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni dell'Umanità in Africa

Shujaaz, un fumetto dall'Africa

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Da quando nel febbraio 2010Shujaaz (che significa eroi) iniziò le pubblicazioni a Nairobi, i suoi personaggi sono diventati dei veri e propri eroi tra i giovani della capitale e di gran parte del Kenya. Scritto in lingua sheng, uno slang frutto dalla fusione tra inglese, swahili e altre parole in alcune lingue locali, usatissimo tra gli adolescenti di Nairobi.

Il fumetto, distribuito mensilmente e gratuitamente con un quotidiano (si parla di milioni di copie) disegnato da giovani artisti della capitale (Eric Muthoga, Naddya Oluoch-Olunya, Salim Busuru, Daniel Muli, Movin Were e Joe Barase) si pone l'obiettivo di far riflettere e di ispirare le giovani generazioni. Attraverso quattro personaggi, Boyie (un tecnico del suono di giorno e un DJ notturno che mette su una radio pirata, Shujazz FM che parla ai ragazzi e che resta anonimo), Maria Kim (giovane, bella e intelligente, cresce il fratellino dopo la morte dei genitori e lotta contro l'ingiustizia e la corruzione) Malkia (una giovane che vive sulla costa e che è molto attiva nella scuola e con gli studenti) e Charlie Pele  (un fanatico del calcio che lotta con il padre che non capisce la sua passione), il fumetto vuole puntare il dito contro la disonestà, contro la classe politica ipocrita, ma anche contro la chiesa e le organizzazioni internazionali.

Lo fa in un modo energico, giovane e divertente. Soprattutto in modo innovativo: la radio, con la voce di DJ Boyie, è realmente ascoltabile, con giochi, idee e discussioni. Si calcola che la metà dei giovanni (18-24 anni) di Nairobi ascolti il breve programma (dura 5 minuti) di DJ Boyle. Vi è poi il profilo facebook, quello twitter e tutte le connessioni ai più comuni social networks.

L'esperienza di Shujazz non è quindi solo quella di un comix, ma una forma di comunicazione a tutto campo, capace di stimolare le giuste corde dei giovani di Nairobi e di influenzare, in senso positivo e costruttivo, le loro idee e le loro scelte.

Ecco il sito ufficiale di Shujazz

Riserva della Biosfera di Kafa

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La Riserva della Biosfera Kafa, si trova nell'omonima regione dell'Etiopia, a circa 460 chilometri a Sud-Ovest di Addis Abeba.
Si tratta di una vasta area (circa 760 mila ettari), che rappresenta un'importante luogo di conservazione sia sotto il profilo storico (fu sede dell'antico Regno di Kafa, dal 1390 al 1897) sia sotto il profilo culturale e naturalistico.
L'area è ritenuta il luogo d'origine della più popolare varietà di caffè al mondo, la specie coffea arabica (circa l'80 del caffè bevuto al mondo) che ancora oggi è la principale risorsa agricola della riserva (oltre che pianta spontanea) e costituisce complessivamente un importante quota del prodotto interno lordo dell'Etiopia.

Nel 2010 l'area è stata inserita tra le Riserve della Biosfera dall'UNESCO.

Il territorio della riserva occupa un'area composta da montagne (dai 500 ai 3300 metri di altitudine), ricche e fertili vallate, corsi d'acqua, altopiani e foreste fitte.
le zone della riserva
Secondo la convenzione sulle Riserve della Biosfera, l'area comprende una zona chiamata core (riserva integrale, ad oggi divisa in 11 zone) di circa 28 mila ettari (sebbene vi siano altri 210 mila ettari che sono stati proposti di diventare tali) dove sono possibili solo studi e ricerche.
Vi è poi un'area denominata buffer, di circa 161 mila ettari, dove vi sono insediamenti e attività economiche e produttive sostenibili e infine un'area chiamata di transizione, oltre 337 mila ettari, dove vive la maggior parte della popolazione residente nella riserva (circa 610 mila abitanti, in maggioranza di etnia kapecho) e dove si svolgono le attività economiche più importanti.


Sotto il profilo naturalistico la Riserva di Kafa offre un interessante panorama con diverse specie di mammiferi tra cui varie tipologie di antilopi e scimmie oltre che iene, ippopotami e bufali; una grande varietà di rettili, anfibi e invertebrati e 210 specie diverse di uccelli. Innumerevoli le specie endemiche vegetali.


Ecco il sito ufficiale della Riserva della Biosfera, dove è possibile trovare ogni informazione, dalla tipologia di ricerche che vengono effettuate nella riserva fino alle modalità per visitare l'area.

Vai alla pagina di Sancara sulle Riserva della Biosfera in Africa

Musica d'Africa: Adama Dramè, il maestro di Djembè

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Adama Dramèè un percussionista del Burkina Faso. Nato il 7 giugno 1954 è un vero specialista dello djembè, il tamburo africano per antonomasia. Nato da una famiglia di griot (i cantastorie delle tradizione dell'Africa Occidentale) che da sei generazioni suonava e cantava, ha seguito le orme del padre Salifou - che ha pubblicato 4 album ed è morto nel 1996 - (anche la madre, Assita Kone, era una cantante). Già a 12 anni entra nel gruppo musicale del padre. Il lavoro di quel gruppo era centrato sulla custodia della tradizioni con l'inserimento di alcuni elementi innovativi anche negli strumenti, come la chitarra e i fiati.
Adama spazia il suo orizzonte musicale con altri strumenti a percussione della tradizione africana, in particolare il talking drum, il tama o il bongolo. A partire dal 1979 Adama Dramè frequenta i festival musicali di tutta Europa e dell'Africa, facendosi apprezzare, successivamente anche con il suo gruppo Ballet Foliba, nato nel 1990 e composto da 35 elementi,  per il suo stile trascinante.

Ha pubblicato il suo primo album nel 1987, l'ultimo è uscito nel 2006. Negli ultimi anni Adama (che ha 12 figli, di cui alcuni già musicisti) si è molto dedicato all'insegnamento. Ha tenuto stage workshop un pò ovunque (nell'estate del 2013 era a Torino), mettendo sul campo i suoi oltre 40 anni di esperienza.



Nel dicembre 2009, in occasione dei festeggiamenti dei 50 anni d'indipendenza del Burkina Faso, Adama Dramè ha diretto un gruppo di 50 musicisti dell'area di Bobo Diolasso che hanno suonato a ritmo di persussioni e balafon (ecco il filmato).
Allo stesso tempo ha continuato a collaborare soprattutto con musicisti africani (recentemente ha inciso e suonato Mali Blues, un lavoro fatto in collaborazione con i migliori musicisti del Mali)

Vai al sito ufficiale di Adama Dramè

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Per colpa dei rifiuti

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Sono passati esattamente 20 anni dal quel drammatico 20 marzo 1994, quando in Somalia, a Mogadiscio la giovane giornalista del TG3 Ilaria Alpi e l'operatore Miran Hrovatin furono uccisi.
Certo, fare i giornalisti in paesi di guerra, può essere rischioso. E' il prezzo che in molti hanno pagato, per voler semplicemente raccontare, dal posto, quello che realmente accade. Ma, la storia di Ilaria e Miran è diversa. 


Ilaria stava indagando, con quello spirito del giornalismo d'inchiesta e con la forza di chi crede in mondo diverso, su un illecito e pericolosissimo scambio, tra rifiuti tossici nocivi (provenienti dall'Italia e non solo, Germania e Francia) e forniture di armi (provenienti dal disfacimento dell'impero sovietico).

Uno scambio che basava le sue premesse in due punti essenziali. La Somalia, dalla caduta di Siad Barre avvenuta il 25 gennaio 1991, era nella caos totale. Una guerra civile, condotta da signori della guerra senza scrupoli, che si contendevano, metro per metro, il controllo della capitale Mogadiscio e non solo, bisognosi di armi. Una situazione ideale per le organizzazioni criminali e affaristi senza scrupoli: barattare rifiuti tossici (ovvero la possibilità di abbandonarli in luoghi ove nessuno chiedeva e controllava) in cambio di armi provenienti dagli ex-arsenali (e dalle fabbriche) russe, oramai sotto il totale controllo delle mafie.

Il sistema di abbandono dei rifiuti in Somalia (già documentato da rapporti confidenziali del 1993) era collaudato: una carretta del mare, che veniva affondata nelle acque territoriali con tutto il suo carico oppure migliaia di tonnellate di rifiuti sotterrati nella zona costiera di Obbia e ancora sedimi stradali imboniti di rifiuti e poi coperti con l'asfalto. 
I rifiuti? Di tutto e di più: scorie nucleari mescolati con sabbia e terra o a granulato di marmo, sostanze chimiche altamente nocive contenute in fusti e perfino in bottiglie, rifiuti ospedalieri biologicamente nocivi e veleni di ogni genere.

Uno stato come la Somalia, tecnicamente fallito, era (ed è ancora) il luogo ideale per queste porcherie. Nessun controllo, costi bassi e certezza di nessun disturbo. Certo nessuno aveva messo in conto che una giornalista italiana faceva troppe domande, indagava, riprendeva e riusciva con la determinazione solo di chi crede veramente nel suo lavoro, a scucire qualche bocca.

No, questo non poteva essere tollerato. 

A vent'anni di distanza, la Somalia, è ancora nel caos più totale (sebbene, e questo potrebbe essere una svolte, si intravede un timido spiraglio), l'Africa è ancora una pattumiera (i nostri rifiuti tossici, le carcasse delle navi, l'elettronica da buttare vengono ancora generosamente donati al continente nero) e nonostante i processi, la verità sulla morte di Ilaria e Miran è ancora lontana.

Il segreto di stato ancora blocca molti documenti e le autorità somale, nell'anarchia più totale non erano in grado di collaborare. Un segreto che copre responsabilità e nomi di chi, ancora impunito, svolgeva quei traffici, sicuramente con la complicità di pezzi del nostro Stato.

Ilaria e Miran hanno pagato con la vita la loro voglia di conoscere, di documentare, di informare e infine, di poter cambiare.
L'Africa continua a pagare il caro prezzo del nostro sviluppo. 

Ecco la sito d'informazione su Ilaria Alpi, il link al documentario Toxic Somalia di Paul Moreira

Vedi il post di Sancara, Quando informare è pericoloso


21 marzo 1990, è il giorno della Namibia

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La Namibiaè uno stato molto giovane, indipendente dal 1990 (terzultimo in Africa, dopo di lei solo l'Eritrea e il Sud Sudan). La storia che portò quel 21 marzo 1990 alla dichiarazione d'indipendenza è molto complessa ed è legata intimamente alla guerra fredda e alla contrapposizione tra i blocchi, che in Africa del Sud ha significato entrare nel vivo della guerra d'Angola e dell'apartheid sudafricano.
La regione dell'attuale Namibia, abitata da popoli boscimani fin dall'antichità, fu toccata dai portoghesi verso la fine del 1400, ma il territorio desertico rese difficile le esplorazioni verso e dall'interno. Nel XIV secolo arrivarono i primi popoli bantu, tra cui gli Ovambo (che oggi costituiscono circa il 50% degli abitanti) e gli Herero (circa il 10%). A partire dal XVI secolo gli europei (portoghesi, olandesi, inglesi e tedeschi) mostrarono qualche interesse per quest'area, ma solo alla fine del 1800 si delinearono i ruoli sul campo. Gli inglesi nel 1878 occuparono la zona della Walvis Bay, annettendola alla Colonia del Capo, mentre nel 1884 i tedeschi estesero il loro protettorato su tutta l'area, ad accezione dell'enclave di Walvis Bay. I motivi furono quelli economici: le miniere di rame e i diamanti (Vedi la storia di Kolmanskop). Queste condizioni portarono, unica eccezione in Africa, il colonialismo tedesco a far giungere nel paese molti coloni (le cui tracce, nella toponomastica e nelle costruzioni ancora oggi si vedono).
Già tra il 1893 e il 1894 vi furono le prime rivolte degli abitanti locali (Nama e Ottentotti) duramente represse, ma furono gli Herero (e i Nama con essi) a pagare maggiormente la loro ribellione, che iniziata nel 1904, finì pochi anni dopo, nel 1908, con un vero e proprio genocidio (fu eliminata l'80% della popolazione herero), dove furono fatti i primi esperimenti di eugenetica.
Alla fine della I guerra mondiale i tedeschi persero le loro colonie e il territorio dell'Africa del Sud Ovest fu affidata dagli inglesi al governo bianco del Sudafrica (che nel 1920 ottenne anche il mandato della Lega delle Nazioni).
Dopo la seconda guerra mondiale, le Nazioni Unite iniziarono a chiedere al Sudafrica larghe autonomie per la Namibia e un'amministrazione controllata dalle stesse Nazioni Unite. Il Sudafrica rifiutò e governò il territorio della Namibia come una sua provincia, in cui valsero le stesse leggi dell'apartheid, da poco entrate in vigore.

Negli anni sessanta, quando la storia coloniale europea (per lo meno per come era intesa al tempo) andò ad esaurirsi, la gestione della Namibia balzò agli occhi come vera e propria "occupazione" sudafricana.
Nacque così negli anni '60 la SWAPO (South West African People's Organization), movimento politico di ispirazione marxista, che con un braccio armato (PLAN - People Liberation Army of Namibia)) iniziò, a partire dal 1966, una lunga e sanguinosa guerriglia, sfruttando le basi dello Zambia e alleandosi con l'African National Congress (ANC) di Mandela.
Con l'indipendenza dell'Angola (1975), la SWAPO (che era legata all'MPLA angolano) trasferì le sue basi in Angola, legando in modo definitivo le sue sorti alla guerra civile angolana.

Il Sudafrica chiuse le porte ad ogni negoziato internazionale e nel dicembre 1978 indisse, unilateralmente, delle elezioni in Namibia (boicottate dalla SWAPO e da altre forze politiche) senza osservatori internazionali. 
Il periodo di tempo tra il 1966 e il 1988 fu un susseguirsi di tentativi, falliti, di negoziazione in cui la Nazioni Unite nominarono ben sette commissari speciali per la Namibia (tutti rifiutati dal Sudafrica), senza riuscire a fare minimi passi in avanti.
La fine della guerra fredda, il logoramento della guerra angolana, le pressioni internazionali verso il Sudafrica, l'affacciarsi della fine del sistema dell'apartheid portano agli accordi che, assieme alla cessione del controllo della Namibia introdussero anche il ritiro della truppe cubane, oramai impantanate nella guerra civile angolana. Nel novembre 1989, elezioni molto partecipate (98% degli aventi diritti) diedero la vittoria alla SWAPO (57%) e il suo segretario, nonchè co-fondatore, l'ex-ferroviere Sam Nujoma, ritornò dopo 30 anni in Namibia, assumendo la carica di primo Presidente del Paese. La Walvis Bay restò sudafricana fino al 1994 (ovvero poco prima delle elezioni in Sudafrica che incoronarono Nelson Mandela),

Nujoma, governo per 3 mandati, fino al 21 marzo 2005, quando annunciò di non candidarsi (fu eletto Hifikepunye Pohamba) volendosi ritirare dalla vita politica (in realtà su pressione popolare mantenne la carica, forse più onoraria, di Presidente del partito).

Oggi, con poco più di 2,1 milioni di abitanti (di cui oltre 300 mila nella capitale Windhoek) e con un'estensione di oltre 820 mila chilometri quadrati (quasi 3 volte l'Italia) la Namibia è il secondo stato al mondo, dopo la Mongolia, meno densamente popolato.

E' lecito affermare che la storia della Namibia, sia legata a quella della guerra fredda, seppur rappresentandone una parte sicuramente meno conosciuta e studiata.

Vai alla pagina di Sancara sulle Date storiche per l'Africa

Libri: Erano solo ragazzi in cammino

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Dave Eggers, un giovane scrittore americano, nel 2006 scrive un romanzo (What is the What?) che altro non è che l'autobiografia di Valentino Achak Deng, un giovane sudanese sfuggito alla guerra civile che ha devastato il Sudan per decenni (che oggi si presenta, senza aver risolto i problemi, diviso in due nazioni: Sudan e Sud Sudan) e giunto, dopo molte peripezie, negli Stati Uniti.
Uscito in Italia nel 2007 grazie a Mondadori e tradotto con il titoloErano solo ragazzi in cammino.

La storia di Achak parte dal piccolo villaggio di Marial Bai (nel libro in realtà incomincia a ritroso nella sua casa ad Atlanta), nell'attuale Sud Sudan (non lontano dai confini con il Darfur), dove viene sorpreso dalla guerra ed è costretto, rimasto orfano, a scappare, assieme ad altri bambini verso l'Etiopia. Siamo alla fine degli anni '80. E' un lungo viaggio che descrive, nel dettaglio, tutti i drammi della guerra e di quella guerra, in particolare.
I "ragazzi in cammino" (conosciuti come Lost Boy) pagano un prezzo altissimo affrontando la fuga, gli orrori, la fame, la morte e le ingiustizie. Un viaggio di sopravvivenza che li porta miracolosamente fino in Etiopia, dove coloro che non sono morti durante lungo cammino, affrontano l'altra faccia atroce della guerra, quella dei campi profughi.

La storia di Achak è di quelle a lieto fine (purtroppo poche hanno questa evoluzione), trascorre nove anni in Etiopia e in Kenya (molti dei quali nel campo di Kakuma), inizia a lavorare come educatore per l'UNCHR, da dove poi giunge negli Stati Uniti. Diventa così un punto di riferimento e un leader della comunità sud-sudanese negli Stati Uniti e assieme a Dave Eggers nel 2006 fonda la Valentino Achak Deng Foundation che si occupa di costruire scuole e contribuire alla formazione dei giovani nel Sud Sudan.


E' un libro scritto bene (per qualcuno forse troppo lungo), con tratti di autentico romanticismo, altri di grande sofferenza, altri ancora di suggestivo fascino e perfino divertente.
Il racconto di un viaggio di fuga, che diventa di ricerca. Una ricerca di un luogo dove stare al mondo e di un'identità strappato troppo presto e senza comprenderne i motivi.
Il racconto di Achak è anche una storia di un popolo, i Dinka e delle loro tradizioni, rivissute attraverso i ricordi del padre.
Talora commovente, altre volte irritante, un libro che aiuta a capire drammi che a noi, dal nostro mondo dorato, appaiono perfino irreali.

Vi è un passaggio nel libro in cui viene detto ad Achak "Il Sudan è morto. Non ci vivremo mai più". Un frase che racchiude tutta l'impotenza di un popolo in fuga e una rassegnazione tipica di chi non ha più nemmeno la forza di sperare.

Unica cosa che il libro non aiuta a capire sono i motivi della guerra, che restano sempre sullo sfondo.

DaveEggers, nato a Boston nel 1970, scrittore, saggista e sceneggiatore, ha pubblicato il suo primo libro nel 2000 (L'opera struggente di un formidabile genio, un racconto autobiografico che lo ha reso celebre). E' stato il fondatore di una rivista letteraria, McSweeney's, diventata poi una casa editrice.

Ecco il sito della Valentino Achak Deng Foundation

Per approfondire, alcuni vecchi post di Sancara: 
Vai alla pagina di Sancara sui Libri dall'Africa

La Manden Charter, una delle prime Costituzioni al mondo

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Secondo alcuni storici si tratta della più antica Costituzione al mondo. La Manden Charter, emanata a Karukun Fuga (o Kourdukan Fouga) a seguito della battaglia di Krina (1235), rappresenta una testimonianza della cultura mende (mandinga) che, attraverso l'Impero del Mali (o Impero del Manden) governò un'ampia area dell'Africa Occidentale fino al 1645.

l'Impero del Mali (mappa dalla rete)
La Costituzione fu emanata dall'assemblea dei nobili e divenne parte del patrimonio orale della tradizione (di essa si parla nel poema epico di Sundiata). Dal 1890 iniziò una vera e propria raccolta delle tradizioni orali e risale solo al 1967 la prima trascrizione completa della Costituzione.

Essa è composta da 44 editti, divisi per argomento: organizzazione sociale (1-30), proprietà (31-36), ambiente (37-39) e questioni generali (40-44). 
Nel 2009 l'UNESCO ha inserito la Manden Charter tra i Patrimoni Immateriali dell'Umanità da salvaguardare e preservare per le future generazioni.

Scorrendo il testo, si possono scorgere alcune "norme", che sono il segno di una civiltà evoluta (ovviamente per il 1200), capace di imporre regole non solo essenziali per la convivenza pacifica, ma in grado di prospettare un futuro diverso per tutti e di prendersi in carico anche dell'ambiente circostante.

La "carta" dopo aver diviso la società mende in 16 clans e in gruppi di età ed affidato ad ognuno il proprio compito, entra nel merito delle relazioni tra gli individui. Tra le cose di rilievo è bene sottolineare come l'educazione dei bambini, posta come priorità, diviene compito dell'intera società oppure come gli stranieri e gli ambasciatori non possono essere maltrattati nell'Impero.

Vi sono in questa prima parte alcune massime che ben esprimono il pensiero mende. la prima "un bugia che vive 40 anni deve essere considerata una verità" oppure "la vanità è segno di pochezza, mentre l'umiltà è segno di grandezza".

Nella parte dedicata alla proprietà gli estensori sottolinearono come "solo cinque modi permettono di acquisire la proprietà ovvero, l'acquisto, la donazione, lo scambio, il lavoro e l'eredità tutto il resto, senza una convincente testimonianza, pone dei dubbi".

Così come sono da sottolineare gli "articoli" relativi alla salvaguardia dell'ambiente (in particolare dei frutti e dei fiori della natura così come di quelli coltivati) e quelle relative al rispetto.

L'editto 41 pone l'accento  su di un concetto quanto mai attuale soprattutto se concepito come una metafora, ovvero "si può uccidere il nemico (sconfiggere), ma mai umiliarlo". Pensate se questo nobile, e alto, concetto fosse veramente entrato nell'animo umano, quante sofferenze avrebbe evitato in Africa, come nel mondo.

Ecco il testo completo della Manden Charter

Vai alla pagina di Sancara sui Patrimoni Immateriali dell'Africa
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